È la storia di un mare che occupava tutto il bacino padano e dei cambiamenti che hanno portato quel mare a ritirarsi e a formare il territorio che oggi conosciamo.
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C’è un ambito in cui l’Alta Val d’Arda è famosa in tutto il mondo. “I borghi più belli d’Italia”, penserà qualcuno. Non è questo (per ora!): è invece l’ambito della comunità scientifica paleontologica. Grazie all’instancabile lavoro di ricerca di Giuseppe Cortesi, già nel ‘700 i reperti fossili provenienti da queste terre suscitarono un grande interesse, al punto che nel 1858 venne individuato un piano geologico chiamato proprio Piacenziano; successivamente questo divenne uno stratotipo, ossia una successione di strati in una località precisa – i calanchi dei Monti Giogo, Falcone e Padova fino a sud di Castell’Arquato – presa come riferimento ufficiale per confronti, rappresentativa per la sua straordinaria abbondanza di fossili in buono stato di conservazione.
Non è questa la sede per uno studio più approfondito, ma se l’argomento ti interessa esiste una ricca bibliografia (la trovi in fondo a questo articolo) oppure puoi parlarne con il dottor Carlo Francou, appassionato direttore del Museo Geologico di Castell’Arquato, giustamente intitolato a Giuseppe Cortesi.
È proprio con lui che visitiamo il Museo.
Nella prima stanza troviamo circa 800 – ottocento! – specie diverse di conchiglie provenienti dallo stratotipo del Piacenziano. Ma questa non è l’unica sorpresa. Lo sguardo corre verso il soffitto a cassettoni completamente decorato. Dove siamo? Ci troviamo nel cinquecentesco edificio dell’Ospitale Santo Spirito, già in epoca medievale luogo di sosta per i pellegrini in viaggio verso Roma, che transitavano in queste zone non lontane dal tracciato ufficiale della via Francigena.
Ci sono molti reperti provenienti da ogni parte del pianeta nella sala dedicata alle tappe principali della storia evolutiva della vita. “Questo Mesosauro arriva dal Brasile” ci racconta Francou. “Pensate che questo piccolo rettile ha dato il via alla teoria della tettonica a placche. Ci sono infatti esemplari provenienti dal Brasile ma anche dalla zona Atlantica dell’Africa; essendo un animale d’acqua dolce, ha fatto nascere l’idea che le coste potessero essere un tempo accostate. Una teoria fondamentale nasce quindi da una testimonianza fossile: questo ci dice perché è importante continuare a studiarle!”
E bravo Mesosauro. Con occhio ancor più grato ammiriamo ora una tartaruga giurassica proveniente dalla Cina, un uovo di dinosauro dalla Francia, un ittiolite dal Brasile – un fossile di pesce con terribili denti utili a spaccare le conchiglie: imprigionato nella pietra, incute un certo timore anche a distanza di settanta milioni di anni. Meno minaccioso ma altrettanto stupefacente nel suo stato di conservazione, il volo eterno di api e libellule.
Incontriamo una presenza dall’aria famigliare: dove l’avremo già vista? Ma quella è Lucy? “Sì, è una copia della celebre australopiteca, l’originale si trova ad Addis Abeba.” Lucy è lo scheletro più completo mai ritrovato (circa il 40%), un’incredibile scoperta che proprio nel 2024 compie 50 anni. “Il museo ha ovviamente una missione didattica, ci sembrava quindi corretto terminare il viaggio nella storia dell’evoluzione con la comparsa dell’uomo, che è raccontata con l’esposizione di una serie di crani.” Riflettiamo sul fatto che l’aspetto didattico è troppo spesso associato a scuole e bambini, mentre è parte fondamentale di un’esperienza di visita ricca e divertente anche per gli adulti.
A prima vista può sembrare un epiteto poco simpatico, ma in realtà è la protagonista del salone principale, dedicato proprio ai ritrovamenti di cetacei in quello che è stato ribattezzato “il golfo delle balene”. Il cranio di balenottera fu ritrovato nel 1983 sui calanchi di Rio Carbonari praticamente completo: fu scoperto in sabbie fini argillose che indicavano una sedimentazione poco profonda, vicina alla spiaggia. L’età delle ossa è la stessa della sabbia, tra 2,5 e 3,5 milioni di anni. Per farci un’idea delle sue dimensioni reali, ci basta alzare lo sguardo e osservare la grande balena di legno che le sta sopra.
Rappresenta una balenottera nel suo movimento più vitale, il salto fuori dall’acqua. L’artista Giorgio Rastelli ha fermato questo momento in una grande opera di legno: si erge su un azzurro mare di lamiere in tutta la sua forza e grandezza. La superficie sembra quasi bagnata, nella semplicità della levigatura. L’arte qui contribuisce a trasmettere al visitatore quel senso di vita, così difficile da cogliere quando ci si trova di fronte a dei fossili.
Accostare opere d’arte ai reperti, che sono in buona parte frammenti, permette di riflettere su quanto vediamo, di trovare nuove chiavi di lettura. E diverse infatti sono le installazioni artistiche nel museo. Non tutte hanno l’impatto scenico della balena di legno: alcune sono una presenza discreta e suggestiva, che invita a sostare e arricchisce la visita di contenuti.
Altro grande protagonista della stanza è il delfino trovato nel 2009 nelle argille plioceniche della voragine di Montezago, in Val Chiavenna nel comune di Lugagnano. Come suggerisce il luogo del ritrovamento, non fu facile portarlo alla luce e trasportarlo, al punto che fu richiesto l’intervento dell’elicottero dei Vigili del fuoco. Si tratta di un cranio perfettamente conservato, completo di mandibola e denti, oltre a vertebre e coste, risalenti a circa 2.800.000 anni fa circa: l’ottimo stato permette confronti accurati con le specie attuali per capirne l’evoluzione.
E questo granchio dall’aria baldanzosa? Fu ritrovato a Castell’Arquato, nell’alveo del fiume Arda. Inizialmente senza una chela, che fu poi rinvenuta nello stesso luogo nei giorni successivi, rendendolo così straordinariamente completo.
La balenottera di Bacedasco fu scoperta nella primavera del 1986 sui calanchi del Monte La Ciocca (Bacedasco, Piacenza). Furono individuati molti frammenti ossei sparsi: l’azzeccata scelta espositiva qui è stata quella di mantenerli nella posizione del ritrovamento, soluzione che apre una riflessione anche sul lavoro dell’archeologo.
Al termine del percorso troviamo rinoceronti, bisonti e buoi del Pleistocene quaternario. Circa un milione di anni fa il mare si ritirò a causa dei cambiamenti climatici che progressivamente ingrandirono i ghiacciai: le colline dell’Alta Val d’Arda registrano questo passaggio rilasciando resti di grandi mammiferi. Mentre osserviamo gli imponenti fossili, e durante tutto il percorso, i rumori della natura ci accompagnano in un lieve commento sonoro che suggerisce le trasformazioni ambientali. E a proposito di multisensorialità, ad aprile 2024 verrà inaugurato un percorso tattile con didascalie in Braille, realizzato grazie a Rotaract Club.
Il nostro viaggio termina qui, o inizia. Il primo proposito che si formula uscendo dal museo è infatti quello di ripercorrere i sentieri che hanno portato alla scoperta di tanto materiale. Si trovano nelle aree protette che oggi fanno parte del Parco Stirone e Piacenziano: dal museo al territorio e ritorno, alla ricerca delle origini, nostre e del paesaggio che ci circonda, tra fossili calanchi e vitigni.
Prima di partire, un’ultima raccomandazione: ricorda che raccogliere i fossili è vietato!
Museo geologico G. Cortesi
via Sforza Caolzio 57 – 29027 Castell’Arquato (PC)
https://www.museogeologico.it/
Puoi parcheggiare comodamente in uno dei 4 parcheggi gratuiti: clicca qui per vederli su GoogleMap.
Il parcheggio più vicino al Museo è il n.3 (7 minuti a piedi).
Dal 2 gennaio al 31 marzo
Dal 1 aprile al 31 maggio
Dal 1 giugno al 31 dicembre
Lunedì: chiuso (se non festivo).
Il museo resterà inoltre chiuso nelle giornate festive 25 dicembre e 1 gennaio.
Informazioni visite e visite guidate: iatcastellarquato@gmail.com | 0523 803215
Comunicazioni col pubblico, attività scientifica e di ricerca: info@museogeologico.it
Centro di educazione ambientale: cea@museogeologico.it
Direzione scientifica: direzione@museogeologico.it
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